La semi-opera è stato un singolare genere drammatico in voga per qualche decennio in Inghilterra nella seconda metà del Seicento. Il teatro musicale e quello di prosa vi erano affiancati e non intrecciati, con una netta separazione fra personaggi “parlanti” e “cantanti”. I protagonisti della storia recitavano, la musica era riservata a caratteri mitologici o generici: dèi, spiriti, sirene o ninfe, pastori o pescatori. Appartiene in pieno al genere, e ne è anzi uno dei capolavori riconosciuti, King Arthur di Henry Purcell (1691). In esso, il librettista John Dryden si diffonde a raccontare una sorta di mitologica genesi della nazione inglese, attraverso le vicende dell’antico sanguinoso conflitto fra i Britanni e i Sassoni, simbolicamente ma anche molto praticamente rappresentato non solo da feroci battaglie e duelli all’ultimo sangue, ma dalla controversia per la bella Ermelina, desiderata dai condottieri di entrambe le parti, Arthur e Oswald. Abbonda l’elemento soprannaturale, visto che fra i protagonisti ci sono i maghi Merlino e Osmond, aleggiano spiriti buoni e cattivi, gli incantesimi hanno un ruolo centrale. La vicenda riserva sorprese, rovesciamenti, colpi di scena e si può ben immaginare che secondo il gusto barocco venisse rappresentata con stupefacente uso di “macchine sceniche”, abbondanza di fondali suggestivamente dipinti, costumi ricchissimi.
Oggi difficilmente riusciremmo a farci davvero coinvolgere da uno spettacolo del genere su un palcoscenico. Mentre gli appassionati del genere fantasy hanno solo l’imbarazzo della scelta, grazie a numerosi e talvolta anche importanti film. Quello che ci affascina (e per cui King Arthur continua ad andare in scena, non solo in Inghilterra) sono i 90 minuti di musica che Henry Purcell compose non perché li cantassero Arthur, Oswald, Merlino o la dolce Ermelina, ma perché Venere ed Eolo, pastori e guerrieri, ninfe e sirene offrissero una sorta di “colonna sonora” parallela alla storia principale, commentando o sottolineando le situazioni attraverso Arie, Cori, pezzi a più voci, vere e proprie scene pastorali, intercalate anche da numerosi brani affidati solo all’orchestra – con preludi, ouverture e danze di ogni tipo. Una partitura di bellezza e ricchezza strabilianti, un trionfo barocco che trova un miracoloso equilibrio fra vocalità e varietà timbrica (oltre agli archi, sono protagonisti gli oboi, i flauti a becco, le trombe), tutto sempre sostenuto peraltro da una qualità melodica di struggente forza seduttiva (su YouTube si possono trovare almeno tre edizioni complete dell’opera, con la chiave di ricerca “king arthur purcell”).
Al netto della drammaturgia “parallela” postulata dal genere semi-opera (necessaria per le complesse realizzazioni attuali del lavoro), si tratta di musica di tale qualità da risultare assolutamente autonoma. Comunque fruibile teatralmente, volendo ampliare la proposta, anche semplicemente con un singolo filo narrativo affidato a una voce recitante, che spieghi essenzialmente lo sviluppo del plot. Più ambizioso è il progetto “Crescere in musica 2018” del liceo Corradini di Thiene, approdato ora al Teatro Olimpico nell’ambito del festival Vicenza in Lirica (per plausibilissima interconnesione barocca): restituire Purcell e il suo King Arthur musicale, nello stesso tempo offrendo un ragguaglio teatrale del testo di Dryden, in un adattamento che per quanto ridotto si distende comunque per quasi un’ora, intersecandosi con le parti musicali. Lo ha realizzato lo studente diciottenne Marco Faccin, del gruppo “Il colore del grano”, che ha dimezzato i personaggi (da dodici a sei) e ulteriormente dimezzato i recitanti, che sono in tutto tre. Ciascuno ha quindi un doppio ruolo: insieme a Faccin ci sono Eleonora Monteleone e Simone Dal Ponte.
Sul vasto palcoscenico dell’Olimpico, occupato il centro dall’ensemble strumentale e dal coro (nelle cui fila c’erano anche tutti le voci soliste), il versante di teatro “puro” è risultato spazialmente piuttosto sacrificato ma soprattutto non ha avuto una resa di livello comparabile con la qualità messa in mostra dagli esecutori di Purcell, generando quindi una sorta di doppio registro nello spettacolo, nettamente più accattivante e convincente sul versante musicale. Sotto la supervisione di Lorenzo Feder, e con la direzione al cembalo di Sergio Gasparella, efficace per concreta sottigliezza, il gruppo “Crescere in musica Baroque” ha infatti dato prova di concentrazione e sostanziale precisione, creando un suono e realizzando un fraseggio (di articolato carattere espressivo) che se non filologico (solo i fiati erano strumenti antichi o copie di essi) dava comunque l’impressione di essere, come suol dirsi adesso, storicamente consapevole.
Decisivo l’apporto, sul versante vocale, dei solisti della Classe di canto rinascimentale e barocco del conservatorio Pedrollo, istruiti da Gemma Bertagnolli, non tutti giovanissimi, alcuni già in carriera o comunque impegnati in importanti attività esecutive. Voci educate e ben controllate, quasi sempre duttili come richiede la partitura di Purcell. Posto che il coro si è sempre proposto con misura ed equilibrio, fra i solisti bisognerà citare almeno il basso Alberto Peretti, il baritono Alberto Spadarotto, il tenore Michele Fracasso e i soprani Irene Brigitte, Naoka Ohbayashi e Claudia Graziadei.
Pubblico folto al teatro Olimpico, accoglienze alla fine calorosissime.
di Cesare Galla
(https://www.cesaregalla.it/2018/09/04/purcell-magie-e-trionfi-del-barocco/)